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Cave di Gaggio Nord Informazioni

Chi ha visto l’Airone rosso?

Non è così facile vedere un Airone rosso  Ardea pupurea

A differenza di altri uccelli appartenenti alla stessa famiglia, gli ardeidi, come gli aironi cenerini o le garzette che troviamo spesso affacciati sui corsi d’acqua delle nostre periferie in attesa di avvistare qualche preda, l’Airone rosso è ben più raro e predilige aree riparate dalla vegetazione.

Esso, essendo un uccello migratore, trascorre l’inverno in Africa tropicale ed è presente in Europa centrale e meridionale da fine marzo a ottobre, periodo in cui nidifica, a volte insieme ad altre specie, in zone umide ricche di canneti palustri, habitat idonei alla sua riproduzione. I nidi vengono costruiti generalmente a 0,5 – 1 m dall’acqua, ma possono talvolta trovare collocazione anche sugli alberi.

Simile all’Arone cenerino, elegante e slanciato, ma di dimensioni un po’ più piccole e colori più vivaci, l’Airone rosso è facilmente riconoscibile per il suo piumaggio caratteristico; non è tuttavia molto conosciuto proprio per la sua “riservatezza” e per la presenza di un numero limitato di esemplari, tanto da essere considerato una specie protetta ai sensi della Direttiva  79/409/CEE “Uccelli”. 

La colorazione marrone-rossiccia del corpo, che si alterna a fasce grigie o nere, gli consente di mimetizzarsi in mezzo al canneto assumendo una posizione caratteristica con il becco all’insù per confondersi con la vegetazione circostante.  Il canneto costituisce infatti oltre che un ambiente in cui trovare protezione, anche una “miniera di biodiversita’” in quanto favorisce la riproduzione di pesci, anfibi e piccoli invertebrati, che costituiscono parte della dieta di questa specie.

Dove si nasconde quindi il timido airone rosso?

Nella provincia di Venezia l’airone rosso è stato avvistato a Valle Figheri a Campagna Lupia, nelle vicinanze del Canale dei Cuori a Cona e presso la Cassa di Colmata ‘A’ a Mira.

Esistono inoltre alcune zone umide protette, tutte visitabili, come l’Oasi LIPU Cave di Gaggio Nord e Cave di Praello, l’Oasi WWF Valle Averto, l’Oasi Naturalistica di Vallevecchia a Caorle, l’Oasi WWF Cave di Noale e l’Oasi Lycaena di Salzano, nelle quali sono presenti canneti e dove l’airone rosso può nidificare indisturbato. Alcune tra quelle citate sono zone umide di origine antropica, inizialmente adibite all’estrazione di argilla e riconvertite in oasi naturalistiche, che proprio per la loro particolarità sono tutelate al fine di conservare le specie animali e vegetali in esse presenti.

Le zone umide in senso più ampio sono ambienti unici caratterizzati dalla presenza di acqua e di una ricca vegetazione acquatica, come prati umidi, paludi, torbiere o aree inondate, con acque ferme o in movimento. Le intense opere di bonifica risalenti al secolo scorso ed i recenti periodi di prolungata siccità hanno messo a rischio la conservazione di tali zone e di conseguenza alcune specie che vivono esclusivamente in questi habitat, ma fortunatamente in modo non del tutto irreversibile.

Grazie alle aree protette, alla limitazione dell’attività venatoria nel territorio,  ad attività  generali di conservazione, negli ultimi anni, è stato riscontrato un lieve aumento di coppie nidificanti di Airone rosso.

S.F.

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Guide e manuali Informazioni

Comportamenti virtuosi da tenere in spiaggia e al mare: i consigli dei ricercatori di Biologia Marina dell’Università di Padova

Noi e il mare. Dune costiere, patrimonio da non calpestare

di Paolo Comandini e Alberto Barausse

Tutti noi, in modi diversi, interagiamo con gli ambienti costieri: turisti, amanti del riposo in riva al mare, appassionati pescatori, diportisti, lavoratori del turismo balneare, ricercatori, politici e la lista potrebbe continuare. Tutti noi quindi abbiamo il potere e di conseguenza la responsabilità (Ben Parker, 1962) di dare il nostro contributo alla conservazione di questi ambienti così delicati e, come spiegheremo, così importanti per l’umanità. I semplici comportamenti di cui ci possiamo rendere protagonisti ogni giorno possono infatti fare la differenza: ad esempio raccogliere l’immondizia che produciamo quando andiamo in spiaggia, evitare di calpestare la vegetazione spontanea che cresce sulle dune, non raccogliere fauna e flora selvatica, sono solo alcune delle piccole azioni che possiamo fare per contribuire a proteggere gli ambienti costieri dalle tante minacce che incombono su di loro. Ma quali sono queste minacce?

Importanza e degrado degli ambienti costieri

Benché le zone costiere rappresentino meno del 15% della superficie terrestre, esse ospitano ben più della metà dell’intera popolazione mondiale (European Environment Agency, 1999) a cui forniscono inoltre un gran numero di quei benefici concreti che in ecologia si definiscono servizi ecosistemici. Gli ecosistemi costieri, nella loro grande variabilità, contribuiscono infatti in maniera diretta e indiretta alla vita, benessere e cultura delle persone che vivono nelle zone costiere, oltre a rappresentare un’importante fonte di reddito per gli operatori di importanti settori economici come turismo e pesca. Gli ambienti costieri e di transizione, che si collocano cioè nella zona di passaggio fra mare e terra, hanno un’importanza fondamentale proprio per tale loro collocazione fra due mondi diversi che li rende produttivi e estremamente ricchi di biodiversità. Le dune costiere, ad esempio, o le barene (paludi salate) delle lagune adriatiche, svolgono un importante ruolo nel proteggere i territori retrostanti da vento e mareggiate. Questi servizi ecosistemici, così importanti per le persone, dipendono intimamente dal funzionamento ecologico degli ambienti costieri. Nelle dune, le piante psammofile (cioè adatte alla sabbia), con i loro steli e radici, hanno un ruolo fondamentale nel catturare la sabbia e stabilizzare la duna, che può così persistere, crescere e svolgere le sue funzioni ecologiche, a vantaggio anche della spiaggia antistante che beneficia della sabbia presente. La vegetazione rappresenta la chiave del funzionamento ecologico anche delle barene: questi ambienti, proprio grazie all’attività delle loro alofite (piante che tollerano il sale), proteggono le coste dal moto ondoso e mitigano il cambiamento climatico fissando e stoccando grandi quantità di CO2. A causa della loro posizione intermedia fra mare e terraferma, gli ambienti costieri e di transizione sono particolarmente delicati e sottoposti a impatti complessi e diversificati. Da un lato il livello del mare che si alza progressivamente e dall’altro gli esseri umani che sempre più ‘invadono’ gli ambienti costruendo, inquinando, distruggendo con tecniche di pesca invasive e occupandone gli spazi con insediamenti, coltivazioni e strutture ricettive. 

Già da decenni la comunità scientifica ha denunciato la rapida e diffusa perdita di habitat costieri (Loss, status and trends for coastal marine habitats of Europe. Oceanography and Marine Biology: An Annual Review – Airoldi & Beck, 2007) e la necessità di misure che permettano di invertire questa tendenza: una preoccupante superficie di ambienti costieri viene persa o degradata ogni anno a causa delle interazioni spesso sinergiche fra le diverse minacce antropiche. Per questo, la sensibilità pubblica si sta mobilitando sempre più per promuovere azioni di conservazione. L’Unione Europea è da decenni particolarmente avanzata nelle politiche a tutela dell’ambiente, come dimostrato dalla Direttiva Uccelli (1979) per la protezione degli uccelli selvatici e dalla Direttiva Habitat (1992) per la salvaguardia della biodiversità. La Strategia dell’UE sulla Biodiversità per il 2030 mira a raggiungere l’obiettivo di “riportare la natura nella nostra vita” con l’impegno di proteggere a tutela della natura almeno il 30% della superficie terrestre e il 30% della superficie marina dell’Unione entro il 2030. Ma proteggere l’esistente non è sufficiente, bisogna anche ripristinare in modo sostanziale gli ambienti naturali degradati o perduti, che è l’ambizioso obiettivo del Regolamento sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) che il Consiglio europeo ha da poco adottato formalmente.

Un cartone animato sulle dune sviluppato all’interno del progetto di Terza Missione “Comunicare la sostenibilità e la biodiversità: un approccio multidisciplinare”, coordinato dal dipartimento di Biologia dell’Università di Padova

Conservazione e ripristino degli ambienti costieri

Ormai da decenni ricerca e politiche evidenziano l’importanza di riportare gli ambienti particolarmente degradati ad uno stato il più naturale possibile (che a volte differisce dal loro stato originario, impossibile da ricreare) attuando, globalmente, una serie di interventi di ripristino ecologico degli ecosistemi e dei servizi che essi forniscono alle persone. Secondo tale visione, i ripristini ecologici non hanno importanza per la sola biodiversità, ma anche per la nostra società attraverso i benefici concreti per le persone che ne possono derivare, tanto che le aree naturali sono definite “infrastrutture verdi e blu”. Per la loro importanza e il livello di degrado, gli ambienti lungo la costa dell’Alto Adriatico sono stati bersaglio di molti interventi di conservazione finanziati dall’Unione Europea (ad esempio col programma LIFE), lo Stato Italiano e gli enti locali. In particolare la Laguna di Venezia è un laboratorio vivente con numerosi ripristini creati negli ultimi decenni per proteggere e ricostruire ambienti di transizione come barene, la cui superficie a causa dell’erosione si è ridotta di più del 70% nell’ultimo secolo, velme (piane a marea) e praterie di piante acquatiche. Lungo le coste Adriatiche sono stati invece svolti diversi interventi per proteggere e ripristinare le dune. 

La sfida per gli enti locali, di gestione e la comunità scientifica, è unire le forze per affrontare la complessità insita nel creare interventi di ripristino in contesti fortemente antropizzati, che siano in grado di beneficiare in modo multifunzionale sia la natura che la nostra società e che siano economicamente sostenibili nel lungo periodo, ad esempio dal punto di vista della manutenzione ordinaria richiesta. Tale complessità travalica le competenze gestionali classiche e le discipline scientifiche tradizionali e richiede un approccio transdisciplinare che, nella pratica, viene spesso implementato col fondamentale contributo degli enti di ricerca. Per raggiungere tali obiettivi di sostenibilità vengono sempre più di frequente adottate ‘soluzioni basate sulla natura’, cioè tutte quelle azioni multifunzionali attuabili per proteggere o migliorare la qualità degli ecosistemi che si allontanano dalla mera costruzione di infrastrutture ingegneristiche tradizionali (infrastrutture grigie), sfruttando invece le opportunità fornite dalla natura stessa e i suoi processi. Esempi familiari sono la depurazione dell’acqua tramite la fitodepurazione, un insieme di processi che le zone umide svolgono egregiamente, o l’ingegneria naturalistica che sfrutta l’azione stabilizzante delle radici delle piante per proteggere pendii e coste. Per complessità e scala, ovviamente, gli interventi di ripristino sono tipicamente implementati da enti pubblici o soggetti tecnici/esperti, mentre non sono alla portata di noi cittadini. Questo però non vuol dire che anche noi, nel nostro piccolo, non possiamo fare qualcosa per la protezione degli ambienti costieri. Anzi, senza l’adozione di comportamenti sostenibili da parte di ciascuno di noi l’efficacia degli interventi di ripristino può essere vanificata o ridotta.

Cosa può fare ciascuno di noi?

Poche accortezze quotidiane possono bastare per fare la nostra parte nel proteggere gli ambienti costieri. Un primo passo è portar via tutti i rifiuti, anche biodegradabili, che produciamo ogni volta che andiamo in spiaggia. I rifiuti, oltre all’impatto estetico, possono creare gravi danni agli organismi che li ingeriscano per sbaglio o cambiare le proprietà chimiche dei suoli, influenzando comunità animali e vegetali. Quando passeggiamo sulla spiaggia e fra le dune, poi, è importante rimanere sempre sui sentieri battuti per evitare di calpestare le piante che vi crescono, che sono sì estremamente resistenti al vento ma anche estremamente vulnerabili al calpestio. Queste delicate piante sono fondamentali per l’integrità strutturale delle dune e non vanno quindi danneggiate o nemmeno raccolte. Per lo stesso motivo, non bisogna stendersi o accamparsi fra le dune e anche i cani devono essere tenuti al guinzaglio, specialmente nei periodi di nidificazione dell’avifauna: sulle dune infatti vivono e nidificano molte specie di uccelli, spesso rare e protette. Bisogna anche evitare di accendere fuochi, per evitare il rischio d’incendiare la folta vegetazione che cresce sulle dune più vecchie e consolidate. Infine, il materiale vegetale spiaggiato, come pezzi di alghe, piante acquatiche, rami e tronchi, non è ‘sporco’ e non va rimosso in quanto contribuisce a ricostruire gli ambienti dunali e a proteggerli dal mare. La pulizia meccanica di tali materiali ci restituisce sicuramente spiagge più ordinate ma anche più vulnerabili alle mareggiate, oltre ad essere un pericolo per gli animali e piante che abitano o nidificano nella prima zona dunale. Insomma, non scordiamoci che le dune sono sia una fonte di meravigliosa biodiversità che una protezione dal mare per spiagge e territori costieri: rispettarle, preservarle e addirittura ripristinarle significa proteggere un patrimonio collettivo.

Articolo originale: https://ilbolive.unipd.it/it/news/scienza-ricerca/noi-mare-dune-costiere-patrimonio-non-calpestare

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Informazioni Pubblica amministrazione

Inquinamento atmosferico nella Regione Veneto: criticità, possibili misure di contrasto e contenimento

Venezia, li 7 marzo 2024

Indirizzo e-mail
post@consiglioregioneveneto.it
protocollo@consiglioveneto.it

con preghiera di trasmissione

Ai sigg.ri consiglieri regionali
Regione del Veneto
Palazzo Ferro Fini
San Marco, 2322
Cap 30123

Sigg.ri consiglieri,

Oggetto: inquinamento atmosferico nella Regione Veneto, criticità, possibili misure di contrasto e contenimento.

La scrivente Associazione, interpellata da alcuni iscritti circa la posizione della medesima nei confronti del fenomeno dell’inquinamento atmosferico  e delle possibili soluzioni, riporta quanto di seguito.

La situazione dell’inquinamento atmosferico nella Regione Veneto, si sta progressivamente aggravando, pur essendo costantemente monitorata non si intravedono soluzioni a breve, di contro un peggioramento. Acclarata ed ampia la bibliografia in merito ne dettaglia le conseguenze per la salute umana: il Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi, nr. 14 a riguardo “Inquinamento atmosferico, aterosclerosi e rischio cardiovascolare” a cura di Clinica Medica “A. Murri”, Dipartimento di Medicina di Precisione e Rigenerativa e Area Jonica – (DiMePRe-J) – Università degli Studi di Bari Aldo Moro; International Society of Doctors for Environment (ISDE), Arezzo”

(…) Nello studio AIRCHD (Air Pollution ad Cardiovascular Dysfunctions in Healthy Adults Living in Beijng) è stato valutato il rapporto fra l’esposizione ad alti livelli di PM2.5 e marker di instabilità della placca. In particolare, è stato osservato che l’esposizione cronica ad alti livelli di PM2.5 determina un incremento della metallo-proteinasi dal 8,6% al 141,4%. In considerazione del ruolo dei lipidi nell’induzione del processo aterosclerotico, diversi studi hanno valutato la relazione tra profilo lipidico e inquinamento atmosferico. Tale relazione e ben documentata sia da studi epidemiologici sull’uomo che in modelli animali (…)

RIASSUNTO

“(…) Circa 3 milioni di morti/anno per cardiopatia ischemica e ictus sono attribuibili all’inquinamento atmosferico. Per questo le Società Europee ed Americane di Cardiologia hanno attribuito all’inquinamento atmosferico il ruolo di fattore di rischio cardiovascolare maggiore, sottolineandone il ruolo patogenetico nell’induzione della malattia aterosclerotica. Circa l’80% della popolazione residente in aree urbane è esposto a concentrazioni atmosferiche di inquinanti che superano le soglie suggerite dall’Organizzazione Mondiale della Sanita. Numerosi studi epidemiologici e sperimentali hanno evidenziato come l’inquinamento atmosferico abbia conseguenze cardiovascolari per esposizioni a breve e lungo termine e, nel lungo termine, promuove la formazione e progressione della placca ateromasica, svolgendo un ruolo chiave nella patogenesi degli eventi cardiovascolari maggiori. Dal punto di vista patogenetico gli inquinanti atmosferici sono in grado di alterare l’omeostasi lipidica e di indurre stress ossidativo, infiammazione cronica sistemica, disfunzione endoteliale ed effetto protrombotico. Tali effetti patogenetici iniziano molto precocemente (età adolescenziale-giovanile) e continuano durante l’intero arco di vita, interagendo con altri fattori di rischio e amplificandone il peso. Nonostante gli enormi progressi diagnostici e terapeutici in ambito cardiovascolare e metabolico e gli sforzi per ridurre l’inquinamento atmosferico nelle aree urbane, il peso epidemiologico (morbilità e mortalita) delle malattie cardiovascolari rimane inaccettabilmente alto. Le evidenze disponibili impongono di puntare con decisione verso misure di prevenzione primaria (ad es. ridurre i processi di combustione, l’utilizzo di fossili e di altre sorgenti inquinanti come allevamenti e colture intensive, preservare e incrementare le aree verdi) per cercare di invertire il crescente trend epidemiologico di malattie legate all’aterogenesi, ridurre le disabilità e la crescente spesa sanitaria che ne derivano (…)”.

Le soluzioni di omettere spazi verdi anche a filare, oltre a portare dei danneggiamenti in termini economici, quali il disvalore delle aree interessate, ad un maggiore consumo di energia elettrica per il funzionamento dei condizionatori d’aria, sono in contrasto con le indicazioni fornite dal WHO Word Health Organization, (Agenzia Speciale dell’ONU). Viene riportato nel documento interamente reperibile nel sito del WHO (…) lo stile di vita urbano moderno è associato a stress cronico, attività fisica insufficiente, ed esposizione a rischi ambientali antropici. Gli spazi verdi urbani come parchi, parchi giochi, e vegetazione residenziale, possono promuovere la salute mentale fisica e ridurre la malattia e la mortalità dei residenti urbani offrendo rilassamento psicologico e alleviamento dello stress, stimolando la coesione sociale, sostenendo l’attività fisica e riducendo l’esposizione agli inquinanti, rumore e calore eccessivo. Le nuove scoperte mostrano che gli interventi per aumentare o migliorare lo spazio verde urbano possono fornire risultati positivi in termini di salute, sociali e ambientali per tutti i gruppi di popolazione, in particolare tra i gruppi di status socio economico inferiore (..). 

Innumerevoli poi sono i benefici delle alberature in Città solo per citarne alcune dal Documento Verde Urbano redatto dalla LIPU sede Nazionale nel 2016

 (…) Valutazioni economiche

Oltre alla quantificazione dei servizi ecosistemici in termini di benefici svolti dal verde urbano, dagli anni ’90 del secolo scorso si sono affermate anche le valutazioni di tipo economico e monetario, che si sono sviluppate soprattutto negli Stati Uniti (McPherson et al., 1997) per poi approdare anche in Europa (Soares et al., 2011).Oggi esistono software in grado di determinare il valore economico ed ambientale dei benefici apportati dagli alberi e dalla foresta urbana, nonché i modelli dell’impatto economico derivante dai diversi scenari di gestione, di cui un esempio è il CITYgreen© 5.0 prodotto nel 1996 da American Forests, che lavora in ambiente GIS. Un altro approccio è il modello UFORE (Urban FORest Effects) uno strumento di calcolo sviluppato alla fine degli anni 1990 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, sempre per descrivere la struttura del verde urbano e stimare gli effetti della vegetazione sull’ambiente (Siena e Buffoni, 2007). Oggi UFORE è stato ulteriormente sviluppato nel software i-Tree per analizzare la foresta urbana e valutarne i benefici.Citando qualche esempio applicativo, gli alberi e le foreste urbane negli Stati Uniti rimuovono 17,4 milioni di tonnellate di inquinanti atmosferici, prendendo il 2010 come anno di riferimento (range: 9,0-23,2 milioni di tonnellate). Gli effetti positivi sulla salute umana vengono valutati in 6,8 miliardi di dollari (range: 1,5-13,0 miliardi $). Le conseguenze positive sulla salute pubblica includono la prevenzione di oltre 850 morti, di 670.000 casi di sintomi respiratori acuti, di 430.000 attacchi di asma, ma anche di 200.000 giorni di scuola persi (Nowak et al., 2014).A Chicago negli Stati Uniti gli alberi rimuovono gli inquinanti atmosferici, contribuendo a ripulire l’aria per un valore stimato in 9,2 milioni $/anno. Se la copertura arborea venisse incrementata del 10%, oppure se venissero piantati tre alberi per ogni edificio, si risparmierebbero da 50 a 90 $ per unità abitativa di costi energetici per il riscaldamento e la refrigerazione. Questo poiché gli alberi forniscono ombra, riducono la velocità del vento e inducono un abbassamento delle temperature estive. Considerando un lasso di tempo di 30 anni, il valore attuale netto dei servizi forniti dagli alberi è stimato in 402 $ a pianta e corrisponde a quasi tre volte i costi di manutenzione (McPherson et al., 1997). In California i 929.823 alberi lungo le strade rimuovono annualmente 567.748 t di COequivalente  a contrastare le emissioni di 120.000 auto, per un valore corrispondente a 2,49 miliardi di $. Il valore annuo di tutti i servizi ecosistemici è di 1,0 miliardi di $, pari a 110,63 $ per albero. Se si considera una spesa gestionale di 19,00 $ albero/anno, per ogni dollaro investito si ricavano benefici per 5,82 $ (McPherson et al., 2016). A Lisbona è stato applicato il programma i-Tree Stratum per quantificare la struttura e le funzioni degli alberi ed il valore dei servizi forniti. Sono stati censiti 41.247 alberi che insieme producono servizi valutati in 8,4 milioni di $/anno. I costi di manutenzione ammontano a 1,9 milioni di $/anno, quindi per ciascun dollaro investito i residenti ricevono 4,48 $ di vantaggi. Il valore del risparmio energetico (6,16 $/albero), la riduzione della CO2 (0,33 $/albero), la riduzione dell’inquinamento atmosferico (5,40 $/albero) e l’incremento di valore della proprietà immobiliare (145 $/albero), portano ad un beneficio complessivo annuale di 204 $/albero, pari ad un beneficio netto di 159 $/albero (Soares et al., 2011).

A Roma Attorre et al. (2005) stimano che i 704.720 alberi portano un vantaggio economico alla città, legato alla rimozione dell’inquinamento dall’aria, di € 1.674.942 l’anno (€ 2376/albero) e che gli alberi immagazzinano nella propria biomassa circa 320 mila tonnellate di carbonio, sequestrando circa 2000 tonnellate di carbonio l’anno.

Una valutazione preliminare dei servizi ecosistemici compromessi in conseguenza di una potatura drastica in aree verdi del lungomare è stata effettuata a Livorno, dove è stata calcolata una presenza di alberi compresa tra 2285 e 8185 esemplari. È stato ipotizzato che la potatura abbia asportato circa metà del volume di vegetazione che era presente, portando ad una perdita di servizi ecosistemici compresa in una forbice tra circa 160.000 a oltre 590.000 euro/anno. A questo sarebbero da aggiungere e quantificare le conseguenze negative al paesaggio, al valore immobiliare, la perdita di biodiversità e il danno in termini educativi, considerando che l’operato di un ente pubblico funge da esempio da seguire per la cittadinanza (Ascani et al., 2016).

Il valore di un albero può essere quantificato anche dal punto di vista economico (monetario), considerando il valore estetico e paesaggistico, quello emotivo e per il benessere dei cittadini, quello storico, sociale, ecologico, ed infine educativo. A Bologna è stato fatto un calcolo da Tugnoli (2010, 2012) riguardante alcuni degli esemplari più prestigiosi (Ippocastano, Cedro dell’Atlante, Bagolaro, Frassino, Platano, Leccio, ecc.) e le cifre  sono comprese da un minimo di 3635 ad un massimo di 27.732 euro. Applicando il metodo C.A.V.A.T. (Capital Asset Value for Amenity Trees) ad alberi monumentali si raggiungono valori economici ornamentali fino a 806.539 euro.(..)

Dall’esamina del decorso degli ultimi anni, nonostante siano approfonditi studi ed acclarata bibliografia da parte dell’ISPRA Istituto Superiore di Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente, non si sono attivate concrete misure esaustive per la riduzione degli inquinanti atmosferici. A fronte di una possibile e probabile aggravamento della situazione, implementata dai Cambiamenti Climatici in atto, si propone di utilizzare gli unici elementi a disposizione per contenere il fenomeno dell’inquinamento atmosferico, quali la Vegetazione. 

Mantenere filari di siepi in ambito agricolo e periurbano, la costituzione di fasce e cinture boscate in tutto il territorio, incrementare le alberature urbane in ogni sede possibile, terrapieni e fasce tampone ai bordi di strade, autostrade, aeroporti, zone industriali ed artigianali, ove possibile, edere e rampicanti su muri di viadotti, paracarri, ponti. Siepi in ambito privato e pubblico il cui incentivo all’impianto sarà previo contributo a carattere premiale con pubblici riconoscimenti o con promozioni anche di carattere fiscale.

Barriera sempreverde di mitigazione

Tra i migliori arbusti per siepi anti-inquinamento si possono utilizzare il ligustro (Ligustrum vulgare, Ligustrum lucidum, Ligustrum ovalifolium), l’agrifoglio (Ilex aquifolium), la sanguinella (Cornus sanguinea), il Berberis (Berberis spp.), l’Ibisco (Hibiscus siriacus), Bosso (Buxus sempervirens), Eleagno (Eleagnus spp.), Lauroceraso (Prunus laurocerasus), Lagerstroemia (Lagerstroemia indica), Alloro (Laurus nobilis), Laurotino (Viburnum tinus), Corbezzolo (Arbutus unedo), Cotoneaster (Cotonaster spp.), Agazzino (Pyracantha spp.), Fusaggine (Evonimus europaeus), Spirea (Spirea spp.), Fiore d’Angelo (Philadelphius spp.), il Synphoricarpus spp, l’olivello spinoso (Hippophae rhamnoides), l’olivello di Boemia (Eleagnus angustifolia).

In particolare le edere tra cui la Edera helix, evidenziano proprietà di assorbire gli inquinanti di varia natura, detta specie, di natura endemica,  è di comprovata resistenza alle condizioni climatiche ed ambientali avverse, può benissimo essere impiegata a ricoprire, viadotti, piloni, murature, guard rail, ecc., senza comprometterne ed alternarne le caratteristiche strutturali proprie del manufatto.

Edera su pilone

Cordialmente

La coordinatrice LIPU ODV del Veneto
Avv. Chiara TOSI

Il delegato LIPU ODV Sez. Venezia
Dr. Gianpaolo PAMIO

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Appello alla cittadinanza a non utilizzare i fuochi d’artificio per tutelare la fauna selvatica

                                                                                                             Venezia, lì 26 dicembre 2023

COMUNICATO STAMPA inerente l’esplosione fuochi d’artificio di fine anno                                                                        

La Lega italiana Protezione Uccelli, sezione di Venezia, lancia il consueto appello alla cittadinanza inerente a rinunciare all’utilizzo dei  fuochi d’artificio nel festeggiare l’anno nuovo. Le varie ordinanze e divieti della amministrazioni comunali non sono sufficienti a contenere questo fenomeno, si necessita di un maggiore senso di responsabilità. Un’usanza che negli ultimi anni sta costando caro alla fauna selvatica. Uccelli terrorizzati dal rumore, dalle luci, dal fumo volano terrorizzati ed urtano verso vetrate, ostacoli, cavi, antenne, verande, muri, ferendosi anche gravemente o trovando la morte. Emblematico il caso di Roma nel capodanno 2021 quando migliaia di Storni appollaiati nel dormitorio entro i Pini e Lecci fronte il piazzale della Stazione Termini, sono volati via improvvisamente, spaventati dai botti di capodanno, trovando la morte sui vari ostacoli. L’estesa antropizzazione del territorio, la banalizzazione degli habitat, l’impoverimento dei siti di svernamento, la frammentazione dei siti naturali, determinano che sempre più la fauna selvatica entra in contatto con le attività umane, incorrendo in problematiche anche contenibili nei decenni passati, ma ora non più sostenibili: si valuti ad esempio, il livello di occupazione del suolo in Val Padana, di qui le estese criticità verso la suddetta fauna. Un gran numero di uccelli anche rapaci, disturbati e spaventati dai botti, istintivamente fuggono perdendo il senso dell’orientamento, ed abbandonano il rifugio invernale quali alberi, siepi, tetti, anfratti murari, ecc, vagano nel buio, percorrendo anche molti chilometri, e non trovando altri rifugi muoiono dal freddo per l’improvviso dispendio energetico, in una stagione caratterizzata dalla scarsità di cibo che ne riduce l’autonomia. Approfondimenti scientifici grazie all’installazione di radio collari  hanno dimostrato l’abitudine di uccelli di dimensioni maggiori come oche, anatre, gabbiani, usino rimanere sino ad un’ora in volo a quote elevate per sfuggire alle esplosioni dei fuochi d’artificio, questi comportamenti possono essere letali per l’ipotermia sopravvenuta.

Si rinnova l’appello a non impiegare fuochi d’artificio per festeggiare il capodanno, detta attività nuoce non solo al benessere degli animali di affezione e da reddito, ma anche alla fauna selvatica.

Il delegato di Sezione
Dr. Gianpaolo Pamio

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Guide e manuali Informazioni Pubblica amministrazione

Lettera alle amministrazioni comunali: edilizia conservativa per la tutela delle rondini e delle specie affini

Venezia, lì 19 ottobre 2023

Alla Città Metropolitana di Venezia, con preghiera di invio agli Illustrissimi Sindaci della Provincia di Treviso e della Città Metropolitana di Venezia
PEC: protocollo.cittametropolitana.ve@pecveneto.it

Oggetto: Lettera alle amministrazioni comunali. Adozione di criteri e strumenti di edilizia conservativa per la tutela delle rondini e specie affini. 

Spett.le Ufficio in indirizzo, con preghiera di trasmissione ai sindaci della Provincia di Venezia,

i delegati delle sezioni Lipu in calce firmatari registrano ogni primavera, e comunque nell’arco del periodo di nidificazione (da fine febbraio ad agosto), diversi episodi che vedono interventi di restauro, ristrutturazione e/o demolizione di edifici, sulle cui facciate e sui cui tetti sono presenti nidi di rondine (Hirundo rustica), balestruccio (Delichon urbicum),  rondine comune (Apus apus), passera d’Italia (Passer italiae) e altre specie che in tali siti costruiscono i loro nidi.

Le specie anzidette si trovano in uno stato di conservazione precario, con trend di popolazione negativo. Tra le varie cause di questo declino vi sono tutti quegli interventi edilizi che non tengono conto della conservazione delle specie.

Solo a titolo di esempio, si riportano casi di demolizione e ricostruzione di edifici con distruzione completa dei nidi in pieno periodo riproduttivo (a tale riguardo, si riportano qui alcuni articoli pubblicati dalla stampa locale: //www.ilgazzettino.it/nordest/treviso/rondini_nido_distrutto_colonia_oipa_treviso-6732948.html?refresh_ce, https://www.trevisotoday.it/attualita/paese-demolizione-casa-rondoni-4-giugno-2022.htmlhttps://www.oggitreviso.it/casier-salvati-da-una-casa-demolizione-nidi-con-piccoli-di-balestruccio-au5197-310712); oppure ristrutturazione di vecchi edifici con costruzione di nuove pareti completamente lisce e prive di intonaco aggrappante, adatto all’innesto dei nidi; oppure ancora, restauro di vecchi edifici con chiusura delle originarie aperture sulle facciate e ancora, posa di tegole con aperture dallo spazio insufficiente per l’entrata/uscita e costruzione del nido per i passeri. 

Rondine, Hirundo rustica © Gianpaolo Pamio

E’ opportuno qui ricordare che i nidi degli uccelli sono tutelati da normativa vigente secondo quanto previsto dall’articolo 21, comma 1, lettera o), della Legge n. 157 del 11 febbraio 1992, nonché dall’articolo 635 del codice penale. E’ altresì indispensabile richiamare l’attenzione sulla Direttiva CE n. 43/1992, cosiddetta “Direttiva Habitat”, sulla Direttiva CE n. 147/2009, cosiddetta “Direttiva Uccelli”, e sulle Convenzioni internazionali (Convenzione di Bonn e Convenzione di Berna).

Al fine di evitare ulteriori insorgenze di potenziali conflitti tra le esigenze di conservazione della biodiversità – esigenze sempre più pressanti e inderogabili, data l’assodata, attuale e scientifica acquisizione dello stato di crisi della biodiversità su scala globale e locale – e gli interessi dei privati, si ritiene fondamentale che gli strumenti normativi e tecnici a disposizione della pubblica amministrazione (regolamenti edilizi, ordinanze, delibere, ecc.)  siano integrati con criteri e regole che prendano concretamente ed efficacemente in considerazione i tempi di nidificazione e le esigenze biologiche delle specie in questione. Le modalità ed i tempi di intervento, l’uso di intonaci rugosi, che creano idonee superfici aggrappanti, e di coppi con appropriate caratteristiche geometriche, l’applicazione di misure compensative quali i nidi artificiali sono solo alcuni metodi corretti che qui si suggeriscono.

Fondamentale, altresì, è l’integrazione di norme che prevedano la vigilanza e il rispetto degli stessi attraverso adeguato sistema sanzionatorio.

Si allega alla presente la “Delibera salvarondini e regolamenti comunali”, proposta da Lipu e già adottata da varie amministrazioni comunali in tutta Italia, come spunto per l’adozione degli strumenti suddetti.

Si evidenzia che il 27 ottobre p.v. si terrà a cura della Lipu – Agrofauna un seminario on – line ove si parlerà anche di questo.

Sicuri di un Vostro cortese riscontro, si resta a disposizione per ogni necessità.   

Distinti saluti.

Il delegato di Lipu Treviso
Dr. Enrico Pavan

Il delegato di Lipu Venezia OdV
Dr. Gianpaolo Pamio

Il delegato di Lipu Vittorio Veneto
Dr. Roberto Guglielmi

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Cormorano comune e Marangone minore, specie utili od opportuniste?

Venezia, lì 11 febbraio 2023

Cormorano comune e Marangone minore, specie utili od opportuniste?

In natura non esistono specie dannose, se non introdotte dall’uomo per varie ragioni. Le specie di Cormorano comune Phalacrocorax carbo e di Marangone minore Microcarbo pygmeus sono ritenute nocive per le stazioni di ittiocoltura in quanto predano con facilità i pesci allevati. Questo può rappresentare un aspetto da correggere con adeguate misure atte a prevenire tali comportamenti, quali reti orizzontali, gabbie, intreccio di fili, strumenti di allontanamento meccanici, sonori, ad induzione, ecc. Il Marangone minore, originariamente, nella Penisola, nidificava solo nel Delta del fiume Po, poi gradualmente il suo areale di distribuzione si è allargato nelle aree umide della Val Padana. L’organismo  I.U.C.N. The International Union for Conservation Nature classifica questa specie, sebbene in aumento, come specie minacciata, principalmente da uccisione illegali, inquinamento delle acque, disturbo ai siti di nidificazione, sottrazione di habitat, impoverimento della fauna ittica. A livello normativo il Marangone minore risulta appartenere alla fauna particolarmente protetta ai sensi dell’art. 2 della L. 157/1992, con riferimento alle direttive comunitarie 79/409/CEE e 92/44/CEE, e le Convenzioni Internazionali di Berna, Bonn, Parigi, Barcellona, Washington con le relative normativa nazionali di riferimento. 

Il Cormorano sempre tutelato dalla normativa 157/1992  ha una diffusione più estesa e non presenta particolari criticità dato l’incremento numerico è costante, di contro rimane oggetto di deroghe al divieto di abbattimento ed oggetto di piani di contenimento per l’impatto prodotto negli impianti di ittiocoltura.

Queste due specie, portano però dei grandi  benefici all’ecosistema in quanto contengono gli effetti delle immissioni e diffusioni di specie di pesci alloctone che stanno provocando seri danni alla fauna ittica. Pensiamo ad esempio al Pesce gatto Ameiurus melas originario del Nord America, introdotto a scopi ornamentali in Europa negli ultimi anni del ‘800 e grazie a neo immissioni e ripopolamenti ha colonizzato buona parte delle acque interne in Europa, entrando in forte competizione con le specie autoctone e danneggiando particolarmente la Tinca Tinca tinca e l’Anguilla Anguilla anguilla. Il Pesce gatto se non  a livello di avannotto, non ha antagonisti in natura nelle acque europee, se non l’uomo, questa specie dispone di tre aculei, situati nella pinna dorsale e nelle due pettorali, nessun pesce può attaccarlo se non con conseguenze deleterie, pure gli uccelli. Cormorani e Marangoni minori sono particolarmente voraci di questi pesci in quanto hanno  movimenti lenti, tipici della fauna ittica da fondale, li inghiottono per la testa, facendo piegare le pinne all’indietro, rendendo così inoffensivi gli aculei. Taluni esemplari hanno sviluppato la tecnica del lancio in aria, il Pesce gatto avendo la testa rappresentante 1/3 del peso complessivo rivolge la testa verso il basso finendo direttamente nello stomaco del Marangone minore o Cormorano che l’aspetta sotto a becco aperto. Si nota così, queste due specie di uccelli,  ritenute impropriamente opportuniste ed invasive, rappresentano degli elementi riequilibranti per un ecosistema alterato da immissioni improprie di specie aliene.  

Nelle foto: Marangone minore preda un Pesce gatto

La delegazione LIPU Sezione di Venezia

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Comunicato stampa su Verde in Città: l’importanze del microclima

 I cambiamenti climatici in corso a livello globale hanno degli effetti amplificati nelle nostre Città, ove la presenza di naturalità e servizi ecosistemici sono ridotti al minimo. Gli agglomerati urbani, per la loro conformazione e costruzione, stanno diventando invivibili in quanto sovente concepiti senza valutare la presenza di elementi naturali. Per mitigare le isole di calore ed l’effetto albedo la presenza di elementi vegetali rimane quanto mai necessaria.

Quarto d’Altino ciclabile e marc. arch. LIPU ve

Oltre all’assorbimento degli inquinanti durante tutto l’arco dell’anno, soprattutto le edere rampicanti, in primis l’autoctona Edera helix, assolvono al compito di mitigare  l’effetto albedo,  riflettenza solare sulle superfici verso ogni direzione e di contrastare  le isole di calore. Oltre alle alberature urbane, quanto mai riconosciute da ampia ed  acclarata bibliografia, indispensabili  per abbassare le temperature nelle strade e nelle Città in generale, l’Edera helix un rampicante senza particolare bisogno di cura e molto resistente alle condizioni estreme di caldo ed inquinamento, potrebbe essere collocato agevolmente per ricoprire pareti e tetti di edifici artigianali – industriali, muri, terrapieni, pannelli, piloni di opere infrastrutturali, guard rail, ecc. Già nel 2016 veniva pubblicato uno studio alquanto esaustivo circa l’importanza del Verde in Città per la regolazione del microclima. Il  documento è  dell’ENEA Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, Ministero dello Sviluppo Economico, in collaborazione con DAFNE Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali, Università degli Studi La Tuscia (VT), documento su “Sistemi vegetali e sostenibilità energetica: effetti sul microclima urbano”, 2016. Leggiamo a pag. 7: “ (…) più densa è la vegetazione più energia viene assorbita nella massa vegetale che si comporta come un vero e proprio corpo nero. Pertanto la quantità di energia riflessa è mediamente inversamente proporzionale  alla dimensione della massa foliare delle coperture a verde. Da un punto di vista energetico, la copertura verde dissipa calore come “calore sensibile” attraverso l’aria e come “calore latente” attraverso i processi di traspirazione dell’acqua del metabolismo vegetale: la componente sensibile aumenta la temperatura  dell’aria mentre quella latente diminuisce. Oltre che per traspirazione, le piante dissipano calore anche per l’evaporazione del substrato di coltivazione e dalle foglie. La mitigazione delle temperature medie massime dell’aria e delle pareti degli edifici è sostanzialmente dovuta all’azione di ombreggiamento da parte della vegetazione (piante erbacee, alberi, cespugli) e per fenomeno dell’evapotraspirazione che, in ultima analisi, rappresenta la quantità di acqua che si disperde nell’atmosfera (sotto forma di vapore dell’acqua) mediante processi di evaporazione del suolo e rispettivamente di traspirazione delle piante attraverso gli stomi (circa il 2% della superficie fogliare). (…) grazie alla perdita di acqua di traspirazione dalle foglie, la pianta abbassa la sua temperatura poiché riesce a smaltire il carico di calore accumulato con l’energia solare attraverso il passaggio di stato da acqua a vapore d’acqua e in questo modo dissipa parte dell’energia solare  sotto forma di calore latente.

Alberi in città a Trento

Da quanto emerso, questa Associazione suggerisce alle Amministrazioni comunali, in accordo con le categorie professionali, come inizio, di integrare i rispettivi Regolamenti Edilizi con l’obbligatorietà di coprire, almeno parzialmente, le pareti dei complessi commerciali – direzionali – artigianali.

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Le specie “problematiche” – Il Gabbiano Reale: La posizione della LIPU

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Il vetro uccide gli uccelli. Ecco come salvarli

Tra i 100 e i 115 milioni di vittime in Germania, dai 365 fino a 988 milioni di individui negli Stati Uniti, tra i 15 e i 30 milioni in Italia.

E’ l’impressionante stima del numero di uccelli selvatici, tra cui in particolare rapaci, picchi e passeriformi, che muoiono ogni anno a causa degli impatti contro vetrate di edifici, pensiline o barriere antirumore, cui si aggiungono i numeri provenienti da quasi tutti i Paesi del mondo, visto il crescente utilizzo del vetro nell’edilizia, facendo di questa tendenza una delle minacce più gravi per gli uccelli selvatici.

Lo sottolinea la Lipu-BirdLife Italia, in occasione della diffusione della terza edizione del manuale “Costruire con vetro e luce rispettando gli uccelli”, realizzato dalla Stazione ornitologica svizzera di Sempach con il contributo di numerosi enti di ricerca e associazioni tra cui la Lipu. Il nuovo manuale, che spiega con testi e fotografie come le collisioni possono essere evitate con semplici misure, è scaricabile sul sito web della Lipu, www.lipu.it, oppure su quello della Stazione ornitologica svizzera cliccando QUI.

“La collisione con vetri è oggi uno dei più grandi problemi di conservazione degli uccelli – afferma Marco Dinetti, responsabile Ecologia urbana della Lipu – Essi non riconoscono come ostacoli né i vetri trasparenti e nemmeno quelli altamente riflettenti che rispecchiano gli alberi, i cespugli o il cielo, creando un’illusione di habitat continuo che induce gli uccelli ad attraversarli, con esiti quasi sempre fatali.

In Italia le stime della Lipu sono nell’ordine di 15-30 milioni di uccelli morti ogni anno: si tratta in realtà di una valutazione largamente al ribasso, perché “in realtà, l’impatto del vetro sugli uccelli è molto più pesante” spiega Dinetti. I vetri più problematici sono quelli altamente riflettenti, i vetri trasparenti dei balconi, i vetri d’angolo, le barriere antirumore in vetro o le verande. Per ridurre gli impatti si possono applicare sul vetro visibile delle marcature testate per la protezione degli uccelli, mentre le sagome familiari degli uccelli rapaci dovrebbero essere evitate: non dissuadono gli uccelli e sono poco efficaci. Solo una marcatura che copre l’intera superficie e che si distingue il più possibile dall’ambiente circostante fornisce la protezione necessaria. I test effettuati e illustrati nel volume hanno infatti dimostrato che le soluzioni a strisce e a punti sono particolarmente efficaci.

Il nuovo manuale mostra anche come fare a meno del vetro trasparente o altamente riflettente durante la costruzione, o come mettere in sicurezza le aree pericolose per gli uccelli in fase di progettazione. In questo modo si risparmia tempo, energia e costi per l’adeguamento a posteriori, evitando inoltre che molti uccelli muoiano a causa della presenza di superfici in vetro.

“Il fatto che il vetro possa rappresentare un grave problema per gli uccelli non è ancora noto a tutti allo stesso modo, nemmeno nel settore dell’architettura e dell’edilizia – prosegue Dinetti – Per questo motivo proporremo le soluzioni ben illustrate nell’opuscolo ad architetti, progettisti e costruttori, che scopriranno come ovviare al problema con misure semplici e praticabili e salvare la vita agli uccelli”.

Per scaricare il manuale:

Clicca QUI

Informazioni sui pericoli di collisione contro vetri:

Clicca QUI

SCHEDA

Collisione contro un vetro. Cosa fare in caso di ritrovamenti
Le collisioni con le vetrate non sempre sono mortali. Alcuni uccelli sono “solo” feriti o storditi e questo li rende facili prede per predatori come i gatti. Se trovate un uccello stordito o incapace di involarsi vicino a una vetrata è preferibile metterlo in una scatola con fori di ventilazione e lasciarlo per 2-3 ore in un luogo caldo, buio e tranquillo. La scatola può essere imbottita con carta per uso domestico e l’uccello non deve essere nutrito o abbeverato. Dopo 2-3 ore, si potrà aprire la scatola all’esterno. Se l’uccello non vola via da solo, bisogna portarlo in un centro di cura.
E’ fortemente consigliato comunque contattare un centro di recupero per avere istruzioni su come comportarsi in caso di ritrovamenti (elenco centri di recupero in Italia: https://animaliferiti.lipu.it/i-centri-recupero-in-italia/)

I NUMERI: GLI UCCELLI VITTIME DELL’IMPATTO CONTRO VETRI

(in milioni)
• 100-115 (Germania)
• 365-988 (Stati Uniti)
• 15-30 (Italia)

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Cormorano comune e Marangone minore, specie utili od opportuniste?

In natura non esistono specie dannose, se non introdotte dall’uomo per varie ragioni. Le specie di Cormorano comune Phalacrocorax carbo e di Marangone minore Microcarbo pygmeus sono ritenute nocive per le stazioni di ittiocoltura in quanto predano con facilità i pesci allevati. Questo può rappresentare un aspetto da correggere con adeguate misure atte a prevenire tali comportamenti, quali reti orizzontali, gabbie, intreccio di fili, strumenti di allontanamento meccanici, sonori, ad induzione, ecc. Il Marangone minore, originariamente, nella Penisola, nidificava solo nel Delta del fiume Po, poi gradualmente il suo areale di distribuzione si è allargato nelle aree umide della Val Padana. L’organismo  I.U.C.N. The International Union for Conservation Nature classifica questa specie, sebbene in aumento, come specie minacciata, principalmente da uccisione illegali, inquinamento delle acque, disturbo ai siti di nidificazione, sottrazione di habitat, impoverimento della fauna ittica. A livello normativo il Marangone minore risulta appartenere alla fauna particolarmente protetta ai sensi dell’art. 2 della L. 157/1992, con riferimento alle direttive comunitarie 79/409/CEE e 92/44/CEE, e le Convenzioni Internazionali di Berna, Bonn, Parigi, Barcellona, Washington con le relative normativa nazionali di riferimento. 

Marangone minore © Luigino Busatto

Il Cormorano sempre tutelato dalla normativa 157/1992  ha una diffusione più estesa e non presenta particolari criticità dato l’incremento numerico è costante, di contro rimane oggetto di deroghe al divieto di abbattimento ed oggetto di piani di contenimento per l’impatto prodotto negli impianti di ittiocoltura.

Queste due specie, portano però dei grandi  benefici all’ecosistema in quanto contengono gli effetti delle immissioni e diffusioni di specie di pesci alloctone che stanno provocando seri danni alla fauna ittica. Pensiamo ad esempio al Pesce gatto Ameiurus melas originario del Nord America, introdotto a scopi ornamentali in Europa negli ultimi anni del ‘800 e grazie a neo immissioni e ripopolamenti ha colonizzato buona parte delle acque interne in Europa, entrando in forte competizione con le specie autoctone e danneggiando particolarmente la Tinca Tinca tinca e l’Anguilla Anguilla anguilla. Il Pesce gatto se non  a livello di avannotto, non ha antagonisti in natura nelle acque europee, se non l’uomo, questa specie dispone di tre aculei, situati nella pinna dorsale e nelle due pettorali, nessun pesce può attaccarlo se non con conseguenze deleterie, pure gli uccelli. Cormorani e Marangoni minori sono particolarmente voraci di questi pesci in quanto hanno  movimenti lenti, tipici della fauna ittica da fondale, li inghiottono per la testa, facendo piegare le pinne all’indietro, rendendo così inoffensivi gli aculei. Taluni esemplari hanno sviluppato la tecnica del lancio in aria, il Pesce gatto avendo la testa rappresentante 1/3 del peso complessivo rivolge la testa verso il basso finendo direttamente nello stomaco del Marangone minore o Cormorano che l’aspetta sotto a becco aperto. Si nota così, queste due specie di uccelli,  ritenute impropriamente opportuniste ed invasive, rappresentano degli elementi riequilibranti per un ecosistema alterato da immissioni improprie di specie aliene.  

Nelle foto: Marangone minore preda un Pesce gatto

La delegazione LIPU Sezione di Venezia