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Notizie dal territorio

La Lipu protesta: sbagliate le potature dei lecci nell’area di Piazzale Roma [Archivio Il Gazzettino 2020]

Dall’articolo del Gazzettino del 10 gennaio 202o.

LA POLEMICA 
VENEZIA «Anche le alberature di piazzale Roma risultano vittime di errate potature». Lo segnala la sezione veneziana della Lipu (Lega italiana protezione uccelli) in una nota inviata al Servizio Suolo e Verde pubblico dell’Ufficio Ambiente del Comune, con la quale denuncia un errato intervento di potatura ad alcuni dei pochi alberi a dimora nell’area del terminal automobilistico. 
«Abbiamo ricevuto delle segnalazioni che indicano una potatura impropria ed eccessiva di alcuni alberi di leccio Quercus ilexed presenti nei Giardinetti, lato Rio Nuovo, di piazzale Roma scrive il responsabile della Lipu, Gianpaolo Pamio – . Come è evidente dalle foto che ci sono state trasmesse, si evince che potature del genere, estese e sistematiche su ogni tralcio di questi alberi, espongono le piante a patologie fungine, aggravate dal fatto che il clima umido ne favorisce la diffusione. Quest’area continua a scrivere la Lipu – è stata interessata gli anni scorsi dall’inserimento di chioschi per il la somministrazione di bevande nello spazio del giardino, sottraendo permeabilità al suolo ed interferendo sulla crescita di olmi e bagolari. Tali scelte, unitamente a potature inopportune, possono compromettere irrimediabilmente la salute di detti alberi». 
L’associazione, tra l’altro, sottolinea che le piante in questione rappresentano l’unico punto alberato di piazzale Roma e che la loro presenza contribuisce a mitigare la calura estiva riflessa dalla superficie asfaltata e incrementata dagli scarichi degli autoveicoli ed autobus che circolano costantemente in quest’area. 
«Riteniamo, pertanto, necessario prosegue la nota richiamare quanto previsto dal Regolamento Comunale per la Tutela e la Promozione del Verde in Città, che stabilisce che la potatura delle piante debba avvenire nel rispetto dei cicli biologici e di sviluppo delle alberature. Ed ancora più importante ribadisce Pamio è rammentare che nell’eseguire tali operazioni si agisca tenendo presente che la riduzione della superficie fogliare si traduce in una minore disponibilità di nutrienti per le radici e le altre parti dell’albero; che l’esposizione frequente della corteccia dei rami più interni alla luce diretta del sole può provocarne il surriscaldamento e conseguente indebolimento strutturale; che il taglio dei rami si traduce in una successiva abbondante produzione di germogli inseriti debolmente, che con il tempo possono diventare pericolosi ed, infine, che il legno dei monconi dopo il taglio risulta vulnerabile all’attacco degli insetti e dei funghi patogeni».
Mauro De Lazzari

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Pubblica amministrazione

Lipu, Coordinamento regionale: Osservazioni VIA Masterplan 2037 Aeroporto Marco Polo

Problematiche attuali dell’ambiente lagunare: fattori di pericolosità per coste, popolazioni ed infrastrutture

Gli studi dell’IPCC (International Panel for Climate Change) sul riscaldamento climatico portano a previsioni sull’innalzamento dei mari e conseguenti rischi di inondazione costiera. Un articolo dell’INGV (istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia) pubblicato su “Environmental Research Letters” nel dicembre 2023, afferma come l’alto Adriatico, e quindi la zona lagunare, siano affetto da problemi quali:

1) subsidenza del suolo

2) erosione delle coste 

3) inondazioni

4) ritiro e salinizzazione della falda freatica (avanzamento del cuneo salino) 

5) pressione antropica

La pressione antropica quindi è un fattore di rischio che va considerato e che si aggiunge a quelli relativi all’ambiente naturale.

La subsidenza è riscontrata in tutto il comprensorio lagunare e nelle zone limitrofe, conseguenza dello sfruttamento di acque sotterranee, e causa a sua volta dei processi erosivi costieri. Per ostacolare la progressione salina, soprattutto in aree poste a quote basse o sottoil livello del mare, è necessaria la presenza di acqua dolce in maggiore quantità nel suolo,sottosuolo, nei canali della bonifica e nei fiumi. Il riscaldamento climatico inoltre, riduce le precipitazioni nell’arco dell’anno (carenza idrica dei fiumi) e fa aumentare il livello medio del mare (eustatismo).

Venezia e la Litorale, avanzata cuneo salino e subsidenza

Il Presidente di ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche) Veneto lanciava l’allarmante messaggio in occasione della “Giornata Mondiale della Terra 2021: ”i lunghi periodi siccitosi comportano una riduzione della portata dei fiumi a vantaggio dell’acqua di mare che dalla foce risale per molti chilometri. La contaminazione da sale nelle falde acquifere delle zone costiere dipende invece più direttamente dall’attività dell’uomo: l’aumento dei prelievi di acqua dolce per uso potabile e produttivo lascia infatti spazio nelle falde alle infiltrazioni di acqua marina.  

Già nel 2003, infatti, la pubblicazione della Provincia di Venezia, tuttora in rete, titolo “Intrusione Salina e Subsidenza nei Territori di Padova e Venezia”, autori Carbognin-Tosi (del CNR), rilevava l’incremento della subsidenza sulla fascia litoranea e le sue cause: l’”effetto dell’intrusione salina proveniente direttamente dalla linea di costa o dalla conterminazione, lagunare, deve tenere conto anche dei processi che favoriscono la contaminazione, quali: la risalita dell’onda di marea lungo le foci dei fiumi e canali; la risalita dell’onda di marea lungo la rete di bonifica attraverso manufatti (botti a sifone, porte vinciane, sostegni, ecc.) in contatto con corpi idrici salati, che periodicamente o perennemente consentono riflusso verso monte; la risalita di acque sotterranee salate per l’azione di mantenimento del franco di bonifica delle idrovore; la contaminazione causata dall’intercettazione dei livelli salati sotterranei durante il dragaggio o scavo di canali della rete di bonifica e la risalita delle acque fossili profonde.” e inoltre “È stato inoltre appurato un aggravamento dei tassi di abbassamento lungo il cordone litorale di Cavallino-Jesolo dove i nuovi sfruttamenti di acque sotterranee (dagli inizi del ‘90 si concedono nuovamente i permessi per l’apertura di pozzi artesiani) sembrano giocare un ruolo non trascurabile nella dinamica del processo. … La subsidenza della struttura litoranea potrebbe comportare anche l’aumento dei processi erosivi costieri.”. Era indicato da mantenere il livello freatico (acqua dolce) sotto il piano campagna e pure il pericolo: ”Si sa che la vita della laguna di Venezia è legata allo stato dei litorali i quali, è noto, non hanno una altimetria che possa proteggere la laguna da mareggiate veramente eccezionali”. Da allora la quota del suolo si è ridotta (subsidenza) di 15-20 cm. rispetto al medio mare, progrediti l’intrusione/cuneo salino e l’erosione del litorale, mentre permangono lunghi periodi di carenza idrica nel suolo e sottosuolo.

Nell’Aprile 2016, a Jesolo, erano presenti anche gli Amministratori locali al convegno tenuto al Pala Arrex con titolo “IL FENOMENO DELLA SUBSIDENZA NELL’ALTO ADRIATICO CONNESSO CON L’ESTRAZIONE DAL SOTTOSUOLO”, relatori dell’Università di Padova e del CNR Ismar Venezia esponevano alcuni dati: la subsidenza con valori di 3-6 mm/anno e oltre in corrispondenza delle nuove edificazioni, dove la misura è  1 cm/anno; per l’eustatismo l’indicazione e di 3,7 mm/anno (dati ISPRA 1994-2016),  poi la problematica presenza salina sul litorale. La quota annua complessiva persa dal livello del suolo rispetto al medio mare misurava quindi circa 1 cm/anno e oltre per l’edificazione recente. Notizie non nuove ma certo non tranquillizzanti per i presenti. Come altrui fossero le problematiche, l’urbanizzazione è progredita con volumetrie rilevanti, pure i consumi idrici. Da allora, rispetto al medio mare la perdita di quota del suolo è di almeno 8 cm in un territorio posto estesamente tra la quota del medio mare e già sotto tale quota.

Conferma delle dinamiche in atto sul litorale arriva dall’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), data dicembre 2023, come riportato su “Environmental Research Letters” visibile al link: https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/ad127e#erlad127ef7.  È segnalata la sottostima della subsidenza prevista dall’IPCC per gli effetti del riscaldamento climatico. Nello studio, riguardante le dinamiche evolutive del livello del suolo nel bacino del Mediterraneo, si legge : ”Vale la pena notare che la maggior parte della popolazione che vive lungo le coste del Mediterraneo non è a conoscenza dell’innalzamento della SL (livello del mare), della subsidenza del terreno e del relativo pericolo costiero che impattano sull’ambiente, sulle infrastrutture costiere e sulle attività umane (Loizidou et al 2023) … Gran parte delle coste di Italia … si sta abbassando, accelerando così l’ascesa della SL” (Sea Level). E, nel caso del litorale dell’alto Adriatico: “zone costiere basse come delta fluviali, lagune, aree di bonifica”, la perdita di quota indicata è di 4-6 mm/anno sulle aree del litorale veneziano e perilagunari, minore nell’area lagunare, circa 2 mm/anno, superiore a 6 mm nel Polesine; pure: “conseguente erosione costiera e ritiro e salinizzazione della falda freatica, rappresentando quindi un significativo fattore di pericolosità per le coste, popolazioni e infrastrutture”.

Negli anni scorsi, oltre al messaggio del Presidente ANBI, ripetutamente dai media venivano notizie allarmanti degli effetti dei prolungati periodi di scarse precipitazioni, del deflusso idrico pressoché assente nei fiumi dove il cuneo salino persisteva fiumi con misure inconsuete: 60 Km nel Po, 30-40 Km nel Livenza e Piave, poi variamente negli altri fiumi e canali con sbocco in mare o laguna; comparivano anche le difficoltà per le non più banali funzioni quotidiane e le pesanti ricadute sul sistema economico. Il più recente periodo primaverile-estivo piovoso (con eventi estremi tipici del riscaldamento climatico) ha rimosso il ricordo della carenza idrica, ma permangono gli effetti della persistente presenza salina, nel suolo e sottosuolo, sulla misura della subsidenza (perdita di quota rispetto livello medio-mare). Permane di circa 1 cm/anno la perdita di quota rispetto al medio mare della fascia litoranea, già estesamente posta sotto tale quota, e ancora maggiore nel Polesine sia la misura dello stato di fatto sia della dinamica. E permangono pure i consumi idrici a livelli incompatibili che hanno contribuito allo stato di penuria dei sistemi idraulico e idrogeologico dell’intera pianura alluvionale, stante l’apporto idrico annuo delle precipitazioni in riduzione e il suo regime variato per il riscaldamento climatico. E nemmeno aiuta l’aumento turistico nei mesi estivi, con cementificazione e consumo idrico aggiuntivi quando è al massimo pure il consumo agricolo/allevamenti, mentre il deflusso fluviale è al minimo (con cuneo salino nei fiumi in estensione). Approvvigionamento idrico? Relativamente alla subsidenza della laguna di Venezia, intorno a 2 mm/anno attuali, la misura è meno della metà dal suo intorno e dal litorale, che la separa dal mare; raggiungeva 1,5 cm/anno in presenza del prelievo idrico dal sottosuolo, attivo a P.to Marghera fino al 1970.

Consumo idrico e cementificazione sono da fermare, come segnala l’ANBI. Un indirizzo operativo che Regione e Comuni palesemente contraddicono, per perseguire l’aumento degli insediamenti e infrastrutture, come risulta dagli strumenti urbanistici e progetti autorizzati o in fase di autorizzazione. Un indirizzo che prospetta l’aggravamento degli effetti già segnalati per suolo e sottosuolo: progressiva contaminazione salina e degrado chimico-fisico del suolo con pesanti penalizzazioni per la presenza umana. Una prospettiva che l’applicazione della legge urbanistica regionale dovrebbe evitare, se applicata, stante l’obbligo della verifica di sostenibilità ambientale delle previsioni urbanistiche e infrastrutturali. Lo strumento sono le valutazioni ambientali VAS e VINCA, poi pure la valutazione VIA per i progetti con rilevanti ricadute ambientali. Il contenuto delle valutazioni risulta invece sostanzialmente indirizzato all’attestazione della sostenibilità, non contemplando argomenti essenziali. Esemplare il caso del Comune di Eraclea, con VAS regionale favorevole per l’utilizzazione insediativa di un’area agricola, nella quale si legge presente: “risalita del cuneo salino, la salinizzazione del suolo e l’eustatismo, e pericolo per la sicurezza idraulica, la stabilità degli edifici esistenti e di futura costruzione, fertilità del suolo e la biodiversità”. Conseguente è l’approvazione del piano per il villaggio turistico (12 mila persone), senza nulla eccepire sugli effetti dell’approvvigionamento idrico (fiume Livenza con presenza salina) e sul consumo di suolo. Non compare la problematica del prelievo idrico nel sottosuolo, nelle lunghe fasi di cantiere, e dell’interferenza delle opere sul sistema idrogeologico. Nel caso del progetto FS (lavori iniziati) per la connessione nessuna valutazione è stata svolta per gli effetti del drenaggio delle acque di falda e l’interferenza/destrutturazione dell’assetto idrogeologico in presenza di paleoalvei di prossimità lagunare, pure per il recapito idrico in laguna sebbene per la ZSC e ZPS “laguna superiore di Venezia” valga l’obbligo della conservazione della biodiversità. 

Il progetto per il collegamento ferroviario dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, presentato da RFI S.p.A., ha acquisito il parere VIA della Regione (decreto del Direttore della Direzione Ambiente regionale n. 945, del 23 novembre 2020), ed è poi stato approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile il 3.11.2021. Le opere sono iniziate. Oltre 4 km interessano suolo e sottosuolo con galleria impostata a circa 20 metri dal piano campagna e connesso doppio diaframma verticale che raggiunge oltre 36 m di profondità, risultando interferiti i vari corpi idrici presenti, anche in pressione; nella galleria, che con un ampio arco sarà tangente all’area aeroportuale, è prevista la stazione. Nella “Relazione geologica geomorfologica, idrogeologica e sismica” del progetto si legge (pag. 58), relativamente ai diaframmi laterali: “indicativamente previsti pari a circa 20/25 m da p.c.”. L’indicazione è palesemente errata rispetto al progetto, che è definitivo, e non depone per l’attendibilità della Relazione. Inoltre (pag. 81): “… la zona di studio è interessata … nella parte finale da una vulnerabilità alta con punteggi pari a 63 e a 50…”; pure: ”La salinizzazione delle falde nelle aree per i lagunari dell’entroterra è principalmente dovuta all’intrusione di acqua dal mare e dalla laguna, talora seguendo vie preferenziali di deflusso sotterraneo, spesso favorita dall’altimetria del terreno nelle aree di bonifica che è anche di 2-3 m inferiore al livello medio del mare, ma avviene anche per dispersione dai fiumi e dai canali in condizioni di magra e/o marea o quando l’acqua marina risale e s’insinua sotto quella fluviale.” e “depositi fini costituiti da argilla limosa debolmente sabbiosa con locali lenti di torba fino a 9 m … lenti limoso-argillose e locali lenti di torba fino a circa 30/35 m (10E-5 m/s<k<10E-6 m/s) sede di una falda localmente in pressione … argilla limosa debolmente sabbiosa con locali lenti di torba fino a circa 50 m (massima profondità raggiunta dai sondaggi) … La modellazione numerica implementata (cfr. Cap 9), evidenzia la presenza di un’interferenza tra le opere sotterranee previste (il riferimento erroneamente è alla galleria artificiale con diaframmai fino a 20/25 m di profondità, cfr. Cap. 10) e il deflusso naturale della falda mostrando come le linee isopieze indisturbate vengono innalzate dalla presenza dei diaframmi strutturali delle gallerie e delle trincee in progetto.”. In precedenza (pag. 26) si legge: “Nel caso della laguna di Venezia l’intrusione marina nei terreni superficiali coinvolge tutta l’area di gronda lagunare espandendosi verso l’entroterra da qualche centinaio di metri a qualche chilometro … comporta notevoli rischi ambientali in prossimità dei margini lagunari … potrebbe anche incrementare la subsidenza già in atto, che potrebbe accentuarsi sia in concomitanza di probabili cali piezometrici, sia per la sostituzione delle acque salmastre a quelle dolci negli interstizi dei sedimenti fini con conseguente destrutturazione e collasso degli stessi.”. Segnalata la presenza di paleoalvei (pag. 80), corrispondenti alle citate “vie preferenziali di deflusso sotterraneo” (e in sua carenza di flusso inverso di risalita salina), della falda in pressione compresa tra 9 e 35 metri dal piano campagna (quali gli effetti della sua depressurizzazione? Per l’intrusione salina in fase di cantiere e poi in presenza della galleria?) e di lenti di torba a varie profondità (con presenza salina che favorisce “destrutturazione e collasso” dei sedimenti per cedimenti differenziali del suolo. Sono confermati gli effetti paventati nelle premesse ma non seguono le dovute valutazioni della scelta progettuale, la ricerca di soluzioni progettuali alternative. Emerge la rilevanza delle criticità paventate e la prospettiva di pesanti penalizzazioni per l’economia agricola, per la sicurezza idraulica dei suoli già prossimi al livello medio-mare, per la stabilità dei manufatti diffusamente presenti nelle vicinanze (l’abitato di Tessera, oltre all’aeroporto ma e l’urbanizzazione diffusa, comprese attività produttive). 

Esemplificativo l’articolo sul portale di ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente in merito al fenomeno straordinario della marea del 12.11.2019.

Alla luce dei cambiamenti climatici in atto nonché di quanto dettagliato, potrebbe portare, se ripetuto, effetti ben maggiori.

Il 2019 verrà a lungo ricordato per il numero straordinario eventi meteo-marini eccezionali che si sono susseguiti tra novembre e dicembre. Le immagini dell’Aqua granda del 12 novembre hanno fatto il giro del mondo. Un evento dovuto a una sovrapposizione di quattro fenomeni: il picco della marea astronomica di sizigia; il livello medio insolitamente elevato del mare in Adriatico; il forte vento di Scirocco lungo il bacino Adriatico e non ultimo il passaggio nel Nord Adriatico e sulla laguna di Venezia di un ciclone di piccole dimensioni che ha provocato venti locali con raffiche di oltre 100 km/h.

Ma il livello di 189 cm raggiunto il 12 novembre, che rappresenta il secondo livello più alto dal 1872, anno di inizio delle registrazioni, è solo la punta dell’iceberg di un novembre eccezionale. In una sola settimana, tra il 12 e il 17 novembre, la marea ha superato per ben 4 volte il livello di 140 cm, registrando così livelli che entrano tra i primi 20 degli ultimi 150 anni. In tutto il 2019, il livello del mare ha superato per ben 28 volte i 110 cm, livello in cui si allaga il 12% della città di Venezia, con una permanenza complessiva pari a circa 50 ore nel solo mese di novembre. Numeri che superano ampiamente i valori massimi raggiunti nei 150 anni precedenti, pari a 18 eventi in un anno (2010) e 24 ore complessive di permanenza (2012) sopra i 110 cm.

Il Centro Previsioni e Segnalazioni Maree del Comune di Venezia (CPSM), l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), e l’Istituto di Scienze Marine di Venezia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR ISMAR), che da anni collaborano per garantire il massimo profilo tecnico-scientifico alle attività di monitoraggio e previsione del livello del mare, hanno messo insieme le forze per un’analisi approfondita delle dinamiche meteo-marine di questi eventi di portata storica. Un’analisi possibile grazie alla notevole mole di dati acquisiti dalle reti mareografiche integrate del CPSM e dell’ISPRA, che, con un totale di 42 stazioni, garantiscono un monitoraggio capillare e in continuo dei principali parametri meteo-marini in Laguna di Venezia e in Alto Adriatico.

Parere sulla creazione del parco fotovoltaico

Il masterplan dell’aeroporto prevede la creazione di un parco fotovoltaico da 68 ettari, 92 milapannelli per fornire la metà del fabbisogno elettrico del Marco Polo.

CIA agricoltori veneto: “ci chiediamo come questo progetto possa coesistere sia con il Piano per le aree di pregio che con il Prg, creando inoltre un impatto paesaggistico enorme”. CIAVenezia, aveva chiesto il ripristino dei 12.000 alberi tagliati negli anni precedenti e la realizzazione di una fascia boscata intorno al perimetro aeroportuale, sull’esempio dell’aeroporto di Bologna.

Un parco fotovoltaico esprime forti criticità per gli uccelli in migrazione, la rotta adriatica costiera è seguita dalla maggior parte degli uccelli che dall’Africa Subsahariana – Nord Africa si portano nel Centro Nord Europa. Bagliori notturni con riflettenza di altri componenti luminosi nonché naturali possono creare una pericolosa assenza di orientamento al punto di compromettere il progetto migratorio e portare a morte certa.

Ad   opera   completata   il   monitoraggio   non   tiene   conto   degli   effetti  su subsidenza,avanzamento del cuneo salino, cambiamenti sul microclima. 

Inoltre, il monitoraggio della componente biotica, prende in considerazione gli eventualiimpatti su flora, uccelli (avifauna) e rettili (erpetofauna), quando invece servirebbe unapproccio integrato che prenda     in considerazione l’ecosistema lagunare nella sua interezza egli effetti anche su microrganismi e altri organismi vegetali/animali utilizzabili comebioindicatori. L’opera in oggetto non analizza l’interconnessione strutturale geologica nelle aree contermini né più maniera, più ampia nell’Alto Adriatico.

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Cave di Gaggio Nord Informazioni

Chi ha visto l’Airone rosso?

Non è così facile vedere un Airone rosso  Ardea pupurea

A differenza di altri uccelli appartenenti alla stessa famiglia, gli ardeidi, come gli aironi cenerini o le garzette che troviamo spesso affacciati sui corsi d’acqua delle nostre periferie in attesa di avvistare qualche preda, l’Airone rosso è ben più raro e predilige aree riparate dalla vegetazione.

Esso, essendo un uccello migratore, trascorre l’inverno in Africa tropicale ed è presente in Europa centrale e meridionale da fine marzo a ottobre, periodo in cui nidifica, a volte insieme ad altre specie, in zone umide ricche di canneti palustri, habitat idonei alla sua riproduzione. I nidi vengono costruiti generalmente a 0,5 – 1 m dall’acqua, ma possono talvolta trovare collocazione anche sugli alberi.

Simile all’Arone cenerino, elegante e slanciato, ma di dimensioni un po’ più piccole e colori più vivaci, l’Airone rosso è facilmente riconoscibile per il suo piumaggio caratteristico; non è tuttavia molto conosciuto proprio per la sua “riservatezza” e per la presenza di un numero limitato di esemplari, tanto da essere considerato una specie protetta ai sensi della Direttiva  79/409/CEE “Uccelli”. 

La colorazione marrone-rossiccia del corpo, che si alterna a fasce grigie o nere, gli consente di mimetizzarsi in mezzo al canneto assumendo una posizione caratteristica con il becco all’insù per confondersi con la vegetazione circostante.  Il canneto costituisce infatti oltre che un ambiente in cui trovare protezione, anche una “miniera di biodiversita’” in quanto favorisce la riproduzione di pesci, anfibi e piccoli invertebrati, che costituiscono parte della dieta di questa specie.

Dove si nasconde quindi il timido airone rosso?

Nella provincia di Venezia l’airone rosso è stato avvistato a Valle Figheri a Campagna Lupia, nelle vicinanze del Canale dei Cuori a Cona e presso la Cassa di Colmata ‘A’ a Mira.

Esistono inoltre alcune zone umide protette, tutte visitabili, come l’Oasi LIPU Cave di Gaggio Nord e Cave di Praello, l’Oasi WWF Valle Averto, l’Oasi Naturalistica di Vallevecchia a Caorle, l’Oasi WWF Cave di Noale e l’Oasi Lycaena di Salzano, nelle quali sono presenti canneti e dove l’airone rosso può nidificare indisturbato. Alcune tra quelle citate sono zone umide di origine antropica, inizialmente adibite all’estrazione di argilla e riconvertite in oasi naturalistiche, che proprio per la loro particolarità sono tutelate al fine di conservare le specie animali e vegetali in esse presenti.

Le zone umide in senso più ampio sono ambienti unici caratterizzati dalla presenza di acqua e di una ricca vegetazione acquatica, come prati umidi, paludi, torbiere o aree inondate, con acque ferme o in movimento. Le intense opere di bonifica risalenti al secolo scorso ed i recenti periodi di prolungata siccità hanno messo a rischio la conservazione di tali zone e di conseguenza alcune specie che vivono esclusivamente in questi habitat, ma fortunatamente in modo non del tutto irreversibile.

Grazie alle aree protette, alla limitazione dell’attività venatoria nel territorio,  ad attività  generali di conservazione, negli ultimi anni, è stato riscontrato un lieve aumento di coppie nidificanti di Airone rosso.

S.F.

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Pubblica amministrazione

Petizione sui pneumatici come parabordi: Richiesta modifica del Regolamento

[Giugno 2024]

Spett.le Comune di Venezia, Ufficio Area
Lavori Pubblici Mobilità e Trasporti
Indirizzo: dirlavoripubblici@pec.comune.venezia.it

e, p.c.

Spett.le Regione del Veneto Settore Parchi e Tutela Biodiversità
Indirizzo: turismo@pec.regione.veneto.it

Spett. le Città Metropolitana di Venezia, Ufficio Ambiente
Indirizzo: protocollo.cittametropolitana.ve@pecveneto.it

Spett.le Provveditorato Interregionale per Veneto, Trentino AA,Friuli-Venezia Giulia
Indirizzi: oopp.triveneto@pec.mit.gov.it
oopp.triveneto-uff4@pec.mit.gov.it

Spett.le Capitaneria di Porto di Venezia
Indirizzo: dm. venezia@pec.mit.gov.it

Oggetto: richiesta modifica Regolamento per la Circolazione Acquea del Comune di Venezia e parallelo Regolamento della città metropolitana su utilizzo parabordi per natanti

Le scriventi Organizzazioni prendono atto dell’attenzione mostrata dall’Amministrazione comunale circa la diffusissima problematica dei Pneumatici Fuori Uso (PFU) impiegati a guisa di parabordi nella circolazione acquea della nostra città, e del sito del patrimonio mondiale di Venezia e della sua Laguna.

A riconfermare quanto asserito, come già riportato in Commissione Ambiente del comune di Venezia (2022) da VLPF (Venice Lagoon Plastic Free) vogliamo reiterare che in forza della legge dello Stato:

Lo pneumatico è l’elemento che viene montato sulle ruote di un veicolo e che permette l’aderenza del veicolo stesso alla strada, fermo o durante il moto, e la consistenza ed i materiali utilizzati per la sua costruzione rispondono esclusivamente a tale scopo.
Ne consegue che lo pneumatico ha un’unica destinazione d’uso, quella stradale.
Infatti, come da nota legislativa di riferimento (Decreto 19 novembre 2019 n. 182) che definisce i PFU ed il loro trattamento a fine vita, si evidenzia che lo pneumatico usurato una volta dismesso diventa rifiuto, per cui non può più essere utilizzato per altri scopi se non per essere rigenerato ai fini di riutilizzo come pneumatico da strada o avviato ad impianto di frantumazione autorizzato.

Esso è quindi, identificato con la sigla PFU, e con il CER 16.01.03, quale rifiuto speciale sul cui corretto recupero sono stati costituiti Consorzi appositi, quali Ecopneus, Ecotyre, etc.
Non solo, come già emerso ed ampiamente documentato, in primis dal progetto H2020 MAELSTROM, coordinato dal CNR ISMAR di Venezia, di cui la firmataria VLPF è partner, nel corso delle attività di monitoraggio e rimozione tramite la piattaforma robotica omonima, si è conclamato che il fondale della laguna di Venezia è tappezzato di pneumatici a causa di tale pratica scriteriata.

Riteniamo quindi essenziale attivarsi per contrastare gli effetti di questa pratica sia attraverso le azioni di pulizia già avviate, ma anche attraverso la modifica dei regolamenti di riferimento. Il Regolamento per la circolazione acquea nel Comune di Venezia ma anche il Regolamento per il coordinamento della navigazione locale nella Laguna Veneta. In particolare l’art 20 comma 5 di quest’ultimo Regolamento, modificato nel 2016 sostituendo la caratteristica di inaffondabilità a favore della mera galleggiabilità e abrogando l’espresso divieto di utilizzo degli pneumatici a guisa di parabordi, precedentemente prevista in osservanza della normativa nazionale. Questi stessi, attraverso l’uso di materiali di rivestimento, atti a renderli “galleggianti” in caso di perdita accidentale, hanno contribuito alla ampia diffusione ed alla frammentazione di ulteriori contaminanti in ambiente acquatico e marino, quali schiume poliuretaniche, gomme e plastiche varie.

Gli effetti ambientali e sulla saluta umana sono notevoli ed ampiamente documentati, gli pneumatici sono, a causa di sollecitazioni, abrasioni e frizioni continue, fonti di micro e nanoplastiche (l’usura degli pneumatici è la seconda fonte di microplastiche primarie negli oceani) e di inquinanti emergenti quale il 6PPD-Chinone, aggiunto alla gomma degli pneumatici per ridurne la rottura che con il loro inevitabile affondamento si trasformano in fonti di inquinamento permanente della vita bentonica e marina in generale.

Ulteriori campionamenti delle acque del Canal Grande da parte di VLPF e dell’Istituto Tecnico – Tecnologico Montani di Fermo, hanno evidenziato e confermato anche a livello molecolare la presenza di tali contaminanti.
Un risparmio immediato dell’operatore marittimo che installa dei parabordi non conformi e non omologati si traduce in una pesante eredità che ricade sull’Amministrazione comunale e sulle spalle delle nostre future generazioni in termini di costi finanziari legati alla bonifica e rimozione di tali materiali tossici dai nostri fondali, di costi legati al degrado della qualità delle nostre acque e dell’intero ecosistema marino e terreste e della nostra salute.

In considerazione di quanto asserito, auspichiamo vivamente che l’argomento venga affrontato in tempi ragionevolmente brevi e con spirito costruttivo. La nostra petizione è ampiamente percepita quale priorità per la maggior parte dei cittadini e numerosissime realtà associative e gruppi all’interno del territorio comunale e metropolitano. Facciamo inoltre presente, che tale azione è anche inclusa all’interno del Piano d’Azione 2022/2024 Plastic Smart Cities sviluppato dal Comune di Venezia, con il supporto del WWF ed in collaborazione con il Gruppo Veritas ed il Gruppo A VM, che noi tutti sosteniamo in maniera attiva e partecipata. Non da ultimo, tale stato di cose è palesemente antitetico al ruolo di Venezia quale Capitale Mondiale della Sostenibilità.

In sintesi, reiteriamo le seguenti richieste:

• Necessità di rispristinare il testo dell’art. 20 comma 5 del Regolamento per il coordinamento della navigazione locale nella Laguna Veneta ex ante la modifica del luglio 2016, in ottemperanza al diritto ambientale ed alla normativa nazionale;

• Necessità di inserire la medesima prescrizione, per coerenza normativa, all’interno dell’ art. 7, comma 1 del Regolamento per la circolazione acquea nel Comune di Venezia.

La modifica di tali regolamenti, oltre a non essere un costo per la città Metropolitana ed il Comune di Venezia, rappresenterebbero un atto di coerenza con la normativa nazionale vigente e gli impegni assunti nel quadro dell’Iniziativa Plastic Smart Cities, Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, nella gestione sostenibile del sito del patrimonio mondiale di Venezia e della sua Laguna e (con sollievo delle nostre acque marine ed interne) in linea con gli obiettivi della Missione Oceano dell’Unione Europea per il 2030, inerenti al bacino del Mediterraneo.

Restiamo disponibile ad un confronto costruttivo e propositivo con le istituzioni locali e con ogni rappresentanza di categoria economica-produttiva che volesse confrontarsi in merito alla questione sollevata.

Confidando in una vostra positiva azione in tempi ragionevolmente brevi,

Venezia 9/6/2024

Dott. Roberto Sinibaldi
Presidente WWF Venezia e Territorio

Il delegato Lipu Sezione di Venezia
Dr Giampaolo Pamio

Il Presidente Gruppo per la salvaguardia dell’ambiente “La Salsola”
Sig. Claudio Piovesan

Venice Lagoon Plastic Free
Dr. Davide Paletto

Legambiente, circolo di Venezia
Dr. Paolo Franceschetti

Documento originale:


Riscontro del Comune di Venezia:

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Guide e manuali Informazioni

Comportamenti virtuosi da tenere in spiaggia e al mare: i consigli dei ricercatori di Biologia Marina dell’Università di Padova

Noi e il mare. Dune costiere, patrimonio da non calpestare

di Paolo Comandini e Alberto Barausse

Tutti noi, in modi diversi, interagiamo con gli ambienti costieri: turisti, amanti del riposo in riva al mare, appassionati pescatori, diportisti, lavoratori del turismo balneare, ricercatori, politici e la lista potrebbe continuare. Tutti noi quindi abbiamo il potere e di conseguenza la responsabilità (Ben Parker, 1962) di dare il nostro contributo alla conservazione di questi ambienti così delicati e, come spiegheremo, così importanti per l’umanità. I semplici comportamenti di cui ci possiamo rendere protagonisti ogni giorno possono infatti fare la differenza: ad esempio raccogliere l’immondizia che produciamo quando andiamo in spiaggia, evitare di calpestare la vegetazione spontanea che cresce sulle dune, non raccogliere fauna e flora selvatica, sono solo alcune delle piccole azioni che possiamo fare per contribuire a proteggere gli ambienti costieri dalle tante minacce che incombono su di loro. Ma quali sono queste minacce?

Importanza e degrado degli ambienti costieri

Benché le zone costiere rappresentino meno del 15% della superficie terrestre, esse ospitano ben più della metà dell’intera popolazione mondiale (European Environment Agency, 1999) a cui forniscono inoltre un gran numero di quei benefici concreti che in ecologia si definiscono servizi ecosistemici. Gli ecosistemi costieri, nella loro grande variabilità, contribuiscono infatti in maniera diretta e indiretta alla vita, benessere e cultura delle persone che vivono nelle zone costiere, oltre a rappresentare un’importante fonte di reddito per gli operatori di importanti settori economici come turismo e pesca. Gli ambienti costieri e di transizione, che si collocano cioè nella zona di passaggio fra mare e terra, hanno un’importanza fondamentale proprio per tale loro collocazione fra due mondi diversi che li rende produttivi e estremamente ricchi di biodiversità. Le dune costiere, ad esempio, o le barene (paludi salate) delle lagune adriatiche, svolgono un importante ruolo nel proteggere i territori retrostanti da vento e mareggiate. Questi servizi ecosistemici, così importanti per le persone, dipendono intimamente dal funzionamento ecologico degli ambienti costieri. Nelle dune, le piante psammofile (cioè adatte alla sabbia), con i loro steli e radici, hanno un ruolo fondamentale nel catturare la sabbia e stabilizzare la duna, che può così persistere, crescere e svolgere le sue funzioni ecologiche, a vantaggio anche della spiaggia antistante che beneficia della sabbia presente. La vegetazione rappresenta la chiave del funzionamento ecologico anche delle barene: questi ambienti, proprio grazie all’attività delle loro alofite (piante che tollerano il sale), proteggono le coste dal moto ondoso e mitigano il cambiamento climatico fissando e stoccando grandi quantità di CO2. A causa della loro posizione intermedia fra mare e terraferma, gli ambienti costieri e di transizione sono particolarmente delicati e sottoposti a impatti complessi e diversificati. Da un lato il livello del mare che si alza progressivamente e dall’altro gli esseri umani che sempre più ‘invadono’ gli ambienti costruendo, inquinando, distruggendo con tecniche di pesca invasive e occupandone gli spazi con insediamenti, coltivazioni e strutture ricettive. 

Già da decenni la comunità scientifica ha denunciato la rapida e diffusa perdita di habitat costieri (Loss, status and trends for coastal marine habitats of Europe. Oceanography and Marine Biology: An Annual Review – Airoldi & Beck, 2007) e la necessità di misure che permettano di invertire questa tendenza: una preoccupante superficie di ambienti costieri viene persa o degradata ogni anno a causa delle interazioni spesso sinergiche fra le diverse minacce antropiche. Per questo, la sensibilità pubblica si sta mobilitando sempre più per promuovere azioni di conservazione. L’Unione Europea è da decenni particolarmente avanzata nelle politiche a tutela dell’ambiente, come dimostrato dalla Direttiva Uccelli (1979) per la protezione degli uccelli selvatici e dalla Direttiva Habitat (1992) per la salvaguardia della biodiversità. La Strategia dell’UE sulla Biodiversità per il 2030 mira a raggiungere l’obiettivo di “riportare la natura nella nostra vita” con l’impegno di proteggere a tutela della natura almeno il 30% della superficie terrestre e il 30% della superficie marina dell’Unione entro il 2030. Ma proteggere l’esistente non è sufficiente, bisogna anche ripristinare in modo sostanziale gli ambienti naturali degradati o perduti, che è l’ambizioso obiettivo del Regolamento sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) che il Consiglio europeo ha da poco adottato formalmente.

Un cartone animato sulle dune sviluppato all’interno del progetto di Terza Missione “Comunicare la sostenibilità e la biodiversità: un approccio multidisciplinare”, coordinato dal dipartimento di Biologia dell’Università di Padova

Conservazione e ripristino degli ambienti costieri

Ormai da decenni ricerca e politiche evidenziano l’importanza di riportare gli ambienti particolarmente degradati ad uno stato il più naturale possibile (che a volte differisce dal loro stato originario, impossibile da ricreare) attuando, globalmente, una serie di interventi di ripristino ecologico degli ecosistemi e dei servizi che essi forniscono alle persone. Secondo tale visione, i ripristini ecologici non hanno importanza per la sola biodiversità, ma anche per la nostra società attraverso i benefici concreti per le persone che ne possono derivare, tanto che le aree naturali sono definite “infrastrutture verdi e blu”. Per la loro importanza e il livello di degrado, gli ambienti lungo la costa dell’Alto Adriatico sono stati bersaglio di molti interventi di conservazione finanziati dall’Unione Europea (ad esempio col programma LIFE), lo Stato Italiano e gli enti locali. In particolare la Laguna di Venezia è un laboratorio vivente con numerosi ripristini creati negli ultimi decenni per proteggere e ricostruire ambienti di transizione come barene, la cui superficie a causa dell’erosione si è ridotta di più del 70% nell’ultimo secolo, velme (piane a marea) e praterie di piante acquatiche. Lungo le coste Adriatiche sono stati invece svolti diversi interventi per proteggere e ripristinare le dune. 

La sfida per gli enti locali, di gestione e la comunità scientifica, è unire le forze per affrontare la complessità insita nel creare interventi di ripristino in contesti fortemente antropizzati, che siano in grado di beneficiare in modo multifunzionale sia la natura che la nostra società e che siano economicamente sostenibili nel lungo periodo, ad esempio dal punto di vista della manutenzione ordinaria richiesta. Tale complessità travalica le competenze gestionali classiche e le discipline scientifiche tradizionali e richiede un approccio transdisciplinare che, nella pratica, viene spesso implementato col fondamentale contributo degli enti di ricerca. Per raggiungere tali obiettivi di sostenibilità vengono sempre più di frequente adottate ‘soluzioni basate sulla natura’, cioè tutte quelle azioni multifunzionali attuabili per proteggere o migliorare la qualità degli ecosistemi che si allontanano dalla mera costruzione di infrastrutture ingegneristiche tradizionali (infrastrutture grigie), sfruttando invece le opportunità fornite dalla natura stessa e i suoi processi. Esempi familiari sono la depurazione dell’acqua tramite la fitodepurazione, un insieme di processi che le zone umide svolgono egregiamente, o l’ingegneria naturalistica che sfrutta l’azione stabilizzante delle radici delle piante per proteggere pendii e coste. Per complessità e scala, ovviamente, gli interventi di ripristino sono tipicamente implementati da enti pubblici o soggetti tecnici/esperti, mentre non sono alla portata di noi cittadini. Questo però non vuol dire che anche noi, nel nostro piccolo, non possiamo fare qualcosa per la protezione degli ambienti costieri. Anzi, senza l’adozione di comportamenti sostenibili da parte di ciascuno di noi l’efficacia degli interventi di ripristino può essere vanificata o ridotta.

Cosa può fare ciascuno di noi?

Poche accortezze quotidiane possono bastare per fare la nostra parte nel proteggere gli ambienti costieri. Un primo passo è portar via tutti i rifiuti, anche biodegradabili, che produciamo ogni volta che andiamo in spiaggia. I rifiuti, oltre all’impatto estetico, possono creare gravi danni agli organismi che li ingeriscano per sbaglio o cambiare le proprietà chimiche dei suoli, influenzando comunità animali e vegetali. Quando passeggiamo sulla spiaggia e fra le dune, poi, è importante rimanere sempre sui sentieri battuti per evitare di calpestare le piante che vi crescono, che sono sì estremamente resistenti al vento ma anche estremamente vulnerabili al calpestio. Queste delicate piante sono fondamentali per l’integrità strutturale delle dune e non vanno quindi danneggiate o nemmeno raccolte. Per lo stesso motivo, non bisogna stendersi o accamparsi fra le dune e anche i cani devono essere tenuti al guinzaglio, specialmente nei periodi di nidificazione dell’avifauna: sulle dune infatti vivono e nidificano molte specie di uccelli, spesso rare e protette. Bisogna anche evitare di accendere fuochi, per evitare il rischio d’incendiare la folta vegetazione che cresce sulle dune più vecchie e consolidate. Infine, il materiale vegetale spiaggiato, come pezzi di alghe, piante acquatiche, rami e tronchi, non è ‘sporco’ e non va rimosso in quanto contribuisce a ricostruire gli ambienti dunali e a proteggerli dal mare. La pulizia meccanica di tali materiali ci restituisce sicuramente spiagge più ordinate ma anche più vulnerabili alle mareggiate, oltre ad essere un pericolo per gli animali e piante che abitano o nidificano nella prima zona dunale. Insomma, non scordiamoci che le dune sono sia una fonte di meravigliosa biodiversità che una protezione dal mare per spiagge e territori costieri: rispettarle, preservarle e addirittura ripristinarle significa proteggere un patrimonio collettivo.

Articolo originale: https://ilbolive.unipd.it/it/news/scienza-ricerca/noi-mare-dune-costiere-patrimonio-non-calpestare

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Pubblica amministrazione

Montiron: Comunicato congiunto di Italia Nostra, WWF e LIPU

Venezia 11 gennaio 2025

COMUNICATO: Molto più fattibile e ambientalmente sostenibile un terminal a Tessera piuttosto che al Montiron, alle foci del Dese, per collegare Burano alla terraferma 

Le scriventi Associazioni esprimono una forte preoccupazione di fronte al fatto che l’amministrazione comunale, che è una delle Istituzioni che partecipa alla Fondazione Capitale Mondiale della Sostenibilità, oltre ad avere un ruolo molto importante nella gestione del sito UNESCO Venezia e Laguna (sottolineiamo quel “…e Laguna” che fa tutt’uno con la città) voglia proporre nel Piano della Mobilità Sostenibile un Terminal acqueo al Montiron e proporre un collegamento veloce tra Burano e le foci del Dese, uno dei luoghi più incontaminati e meglio conservati dal punto di vista ambientale della laguna Nord.

Luoghi con gli ultimi canneti di acqua dolce nella laguna, con un ampia estensione di barene, velme e bassi fondali e sito di assoluta importanza per migliaia di uccelli rari dai fenicotteri agli aironi, beccacce di mare, cavalieri d’Italia e tante altre specie protette dalla Direttiva Habitat 92/43 e Direttiva Uccelli 2009/147, come illustrato agli abitanti di Burano, nell’iniziativa di giugno 2024

Il Moto ondoso causato dal traffico acqueo è il fattore primario di distruzione delle barene individuato come una delle cause di maggior degrado per il sito UNESCO e per la ZPS IT 3250046 protetta da Unione Europea, Stato italiano e Regione Veneto.

La laguna ormai “straripa” ovunque di troppe barche a motore che danneggiano le rive della città e distruggono letteralmente a pezzi le barene della Laguna Nord.

Proporre un Terminal in un contesto del genere ci sembra proprio l’opposto di quello che si dovrebbe fare per conservare al meglio la Laguna.

Viceversa esiste una soluzione molto più praticabile un Terminal a Tessera, ambientalmente molto più sostenibile per collegare Burano alla terraferma e già previsto dalla Variante al PRG per la Laguna e che lascerebbe indenne l’angolo di natura di cui si parlava sopra. 

Un collegamento con Tessera sarebbe molto più funzionale e si arriverebbe dove sono già a disposizione delle linee di autobus urbani h24, autobus extraurbani, quindi collegamenti molto più diretti verso il centro di Mestre, l’ospedale, la stazione ferroviaria, con possibilità di un parcheggio scambiatore e ovviamente un accesso diretto all’Aeroporto Marco Polo.

Pertanto chiediamo che si valuti questa opzione che gli stessi strumenti elaborati da questa Amministrazione indicavano preferibile, più rapida e meno soggetta a variabili che trascinerebbero a lungo la reale fattibilità di un terminal al Montiron alle foci del Dese.

Italia Nostra Sezione di Venezia

ODV WWF Venezia e Territorio 

LIPU Venezia

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Notizie dal territorio

Accordo di programma per il Parco Fluviale del Marzenego: le Osservazioni presentate da 18 Associazioni

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Cave di Gaggio Nord Oasi e riserve

Sono partiti i Tarabusini dall’Oasi di Gaggio

Sono oramai partiti, i Tarabusini ( Ixobrychus minutus ) dell’Oasi LIPU Cave di Gaggio hanno intrapreso il lungo viaggio che li porterà nei quartieri di svernamento in Africa, dove passeranno il nostro inverno, nella parte subsahariana del continente e in Madagascar.

Ritornano tutti gli anni nelle nostre regioni a primavera, per cercare un territorio adatto per la costruzione del nido e riprodursi nel suo habitat di elezione: il canneto.

Tarabusino Ixobrychus minutus in atteggiamento mimetico, Cave di Gaggio © Raffaello Pellizzon

Il Tarabusino è il più piccolo airone europeo e diversamente dagli altri Ardeidi non nidifica in colonie, il nostro airone in miniatura conduce vita solitaria di coppia, il maschio sceglie con cura il territorio dove costruire un nido ben ancorato ai fusti delle canne e non tollera la vicinanza di altri conspecìfici.

E’ un uccello molto schivo e difficile avvistabile dal visitatore occasionale perché  la sua abitudine di rimanere nascosto nel fitto della vegetazione palustre e il piumaggio perfetto per mimetizzarsi ne rende difficoltosa l’osservazione diretta.

Utile un buon binocolo per cercarlo mentre se ne sta immobile, 

ben mimetizzato, tra i fusti di cannuccia di palude ( Phragmites  australis ) e tifa ( Typha latifolia ).

Inoltre, se sorpreso allo scoperto adotta una curiosa ma efficace strategia di difesa mimetica: punta il becco verso l’alto allungando il collo per sembrare esso stesso una canna, anche le striature verticali presenti sul petto lo rendono un tutt’uno nell’ambiente.

Se si è fortunati, lo si può osservare mentre si sposta con brevi e bassi voli sopra qualche specchio d’acqua privo di vegetazione alla ricerca di un posto per procurarsi il cibo.

Si nutre di piccoli pesci, anfibi, rettili, insetti e altri animaletti della palude.

Il Tarabusino è una specie in diminuzione in tutta Europa, principalmente a causa della riduzione dell’Habitat e per il disturbo antropico.

Per la tutela di questa specie sono previste della misure stringenti di conservazione in quanto inserita nella Direttiva Uccelli 79/409/CEE all. I nonché contemplata nella Convenzione di Bonn all. II.

Gli ambienti umidi artificiali rinaturalizzati come l’Oasi LIPU cave di Gaggio rappresentano un rifugio di vitale importanza per la sopravvivenza del Tarabusino.

Volontario di Sezione Raffaello Pellizzon

Venezia li 2 settembre 2024                  

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Oasi e riserve Riserva Ca' Roman

Ca’ Roman: osservata la presenza di Aquila minore

Osservata la presenza di un esemplare di Aquila minore Hieraaetus pennatus, presso la Riserva di Ca’ Roman – Pellestrina (VE)

Questa specie in Europa ha uno stato di conservazione sfavorevole ed ha una popolazione nidificante stimata in poche migliaia di coppie, concentrate  nella Penisola Iberica, Francia e nelle grandi pianure dell’Europa Orientale e Balcanica.

Specie tipicamente forestale, in periodo riproduttivo predilige i boschi misti  interrotti da brughiere, praterie, zone di macchia e coltivi. Si nutre di una vasta gamma di prede, tra cui piccoli mammiferi, rettili e uccelli.

Non nidifica in Italia, dove è una presenza rara limitata ad alcuni individui che attraversano la penisola durante la migrazione primaverile e autunnale per raggiungere le zone di svernamento situate in Africa trans e sub-Sahariana, durante un percorso di migliaia di chilometri.

In provincia di Venezia l’Aquila minore viene osservata sporadicamente.

Pietro Scarpa

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Presenza del Gabbiano reale “Larus michahellis” e relative problematiche

Gli animali, che possiamo osservare oggi, sono il risultato di anni e anni di evoluzione: un processo che porta ad adattare le proprie caratteristiche all’ambiente che ci circonda, in modo da poterlo sfruttare al meglio. Quando l’ambiente o le sue caratteristiche mutano gli animali hanno due scelte: adattarsi o morire. Con l’aumento dell’uso del territorio da parte dell’uomo, negli ultimi anni, molti animali si sono adattati a vivere in ambienti antropici. In questi nuovi habitat sono emerse anche nuove risorse da poter sfruttare. E’ il caso del marcato aumento, nell’ultimo decennio, delle coppie di Gabbiano reale presenti a Venezia. I Gabbiani, in particolare, sono noti per il fenomeno del cleptoparassitismo. Si tratta di una pratica che li porta a sottrarre il cibo ad altre specie, o a loro conspecifici. Questo può causare un comportamento aggressivo nei confronti degli altri individui e, a volte, anche nei confronti dell’uomo. La presenza dei Gabbiani però non è stata favorita solamente ….dai tramezzini rubati subito fuori dai bar, ma soprattutto dal problema dello smaltimento della parte umida dei rifiuti. Così come fanno i gatti randagi che cercano nell’immondizia qualcosa di commestibile, anche i Gabbiani hanno imparato ad adottare questa tecnica e, visto che non sembrano rinunciarci, probabilmente porta loro dei benefici. Le possibili soluzioni per contenere l’aumento della popolazione sono sicuramente più di una. Si potrebbe agire direttamente sulla specie target attraverso monitoraggi e gestione della popolazione. Oppure, si potrebbe andare a risolvere il problema alla radice, togliendo la risorsa principale che porta all’aumento della popolazione e degli incontri con l’uomo: i rifiuti. Dal momento eliminarli fisicamente è improponibile, le semplici soluzioni potrebbero essere non lasciarli a cielo aperto e ricoprire con reti i principali punti di raccolta, in modo da impedire ai Gabbiani di poterli sfruttare e riportando, quindi, un riequilibrio delle risorse alimentari artificiosamente aumentate rispetto alla disponibilità naturale.

A cura della dott.ssa in Scienze Naturali Laura MICHIELETTO